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Back Il dovere dell'Europa di salvare i giornalisti

L'Espresso, 02/05/2018

La situazione è sempre più grave. Il modo in cui gli Stati europei risponderanno agli omicidi dei reporter definirà non solo il futuro del giornalismo, ma anche quello delle nostre democrazie. L'intervento della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa  

Le uccisioni brutali dei giornalisti investigativi Daphne Caruana Galizia e Ján Kuciak hanno tragicamente richiamato l’attenzione sul fatto che l'Europa rimane un posto pericoloso per i giornalisti. Il modo in cui gli Stati europei risponderanno a questi omicidi definirà non solo il futuro del giornalismo, ma anche quello delle nostre democrazie.

Uno sguardo ai dati disponibili aiuta a capire la gravità della situazione. Soltanto negli ultimi dodici mesi nel Continente europeo sono stati uccisi sei giornalisti, metà dei quali nell'Unione europea. Dal 1992 a oggi, oltre 150 giornalisti sono stati assassinati nel nostro continente: uno ogni due mesi. Soltanto alcuni erano corrispondenti di guerra, gli altri cercavano di far luce su quegli angoli bui in cui la corruzione si incrocia con la criminalità e la politica. Molti di loro avevano sollecitato invano la protezione della polizia. Le autorità statali hanno ignorato le loro richieste.

Gli omicidi rappresentano il metodo più estremo e visibile impiegato per far tacere i giornalisti. In Europa anche altre minacce gravi, meno visibili, mettono a rischio la libertà e l’incolumità dei giornalisti. Un rapporto che Index on Censorship e la Federazione europea dei giornalisti hanno pubblicato di recente dice che nel 2017 sono stati 220 i giornalisti arrestati o detenuti, e che ci sono stati oltre mille casi di limitazione della libertà di stampa, spesso attuate da funzionari pubblici. Dal 2015, il Consiglio d'Europa ha ricevuto oltre 160 segnalazioni di attacchi, molestie e intimidazioni contro i giornalisti. Inoltre uno studio del 2017 mostra che molti giornalisti, per evitare problemi, ricorrono all'autocensura.

Quest’atmosfera tossica avvelena la democrazia. Ogni attacco contro un giornalista, sia esso un eminente reporter investigativo o un freelance precari, va oltre il caso individuale, riguarda tutti noi. Se i giornalisti non possono lavorare liberamente e in sicurezza diventa più difficile scoprire le violazioni dei diritti umani, la corruzione o l'abuso di potere. Il pubblico riceve meno informazioni di quelle di cui ha bisogno per partecipare attivamente al processo decisionale. E le forze antidemocratiche prosperano.

Per questo la libertà di stampa rappresenta un diritto umano ben consolidato nei Trattati internazionali, nelle leggi e nelle costituzioni nazionali. Come sottolineato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in diverse sentenze, gli Stati hanno l'obbligo di rispettare questo diritto e proteggere la vita dei giornalisti. Quando non riescono a proteggerne la vita, sono comunque obbligati a condurre indagini efficaci sugli omicidi e a punire i colpevoli.

Troppo spesso, però, gli Stati europei non sono all'altezza di questi obblighi. Prendiamo per esempio le indagini sui crimini contro i giornalisti. Spesso si dilungano per anni e mentre talvolta gli autori materiali sono processati, molte volte i mandanti la fanno franca. Tale fallimento dello Stato infligge altro dolore ai giornalisti e alle loro famiglie e alimenta un senso d’impunità che spiana la strada a nuovi attacchi.

Se tengono davvero alla democrazia e allo stato di diritto, gli Stati devono rispettare più seriamente ed attuare gli standard da loro stessi adottati sull’incolumità dei giornalisti e di altri operatori dell’informazione. Devono passare dalle parole ai fatti.

Un punto di partenza è la Raccomandazione che tutti i 47 stati membri del Consiglio d'Europa - inclusi tutti i paesi dell'UE - hanno approvato nel 2016. Il testo fornisce misure concrete che gli Stati devono adottare per adempiere l’obbligo di proteggere la vita dei giornalisti e porre fine all'impunità per i crimini contro di loro.

Vedo in particolare tre misure che gli Stati possono e devono adottare in poco tempo.

Prima di tutto, proteggere. La polizia e le forze dell'ordine non devono trascurare le minacce contro i giornalisti né le richieste di protezione. Alcuni paesi hanno una buona esperienza su come garantire protezione e dovrebbero condividerla con gli altri. Una maggiore cooperazione con organizzazioni internazionali, organizzazioni di giornalisti e osservatori indipendenti sulla violenza contro i giornalisti contribuirebbe anche ad aumentare la capacità degli Stati di proteggere i giornalisti più rapidamente.

In secondo luogo, porre fine all'impunità. La polizia e la magistratura devono essere in grado di indagare su tutti i casi di violenza contro i giornalisti, compresi quelli che coinvolgono agenti dello stato, e perseguire mandati ed esecutori. Ciò richiede una forza di polizia ben addestrata ed efficace e un sistema giudiziario veramente indipendente, libero dall'influenza politica e capace di perseguire le più alte sfere dello stato se necessario.

In terzo luogo, cambiare le leggi. I legislatori devono attuare leggi che proteggono i giornalisti ed evitano che subiscano pressioni indebite. Devono depenalizzare completamente la diffamazione, prevedere sanzioni civili proporzionate e stabilire sanzioni per chi abusa delle querele per far tacere i giornalisti. Inoltre, le leggi sulla disinformazione, il terrorismo o le questioni di sicurezza non devono limitare la libertà e l’incolumità dei giornalisti.

Queste misure sono a portata di mano, a condizione che ci sia volontà politica. E qui arriviamo al nocciolo del problema. Nella migliore delle ipotesi, molti politici rimangono indifferenti sulle minacce ai giornalisti. Nel peggiore dei casi, istigano alla violenza e infondono diffidenza nei confronti della stampa. Quest’atteggiamento ostile deve cambiare: i politici devono proteggere la libertà di stampa, non seppellirla.

Gli omicidi di Daphne Caruana Galizia, Ján Kuciak e molti altri giornalisti non sono stati dovuti al destino, ma a mancanze strutturali delle istituzioni statali che avrebbero dovuto proteggerli. Questa situazione mette in pericolo sia i giornalisti sia la democrazia. È ora che gli Stati lo riconoscano e garantiscano l’incolumità dei giornalisti e degli altri attori dei mezzi di comunicazione.