Обратно Srebrenica: disumanizzare l'altro

Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, 10/07/2019

Il genocidio di Srebrenica non accadde per caso, iniziò molto prima che si manifestasse in tutto il suo orrore. Prese forma quando nel discorso pubblico si è iniziato a disumanizzare l'altro

Nermin Subašić aveva soltanto 19 anni nel 1995 quando dei gruppi paramilitari lo uccisero brutalmente e sparsero i suoi resti nei dintorni di Srebrenica. Nermin non fu l'unica vittima. Più di 8.300 uomini, donne e bambini furono massacrati durante il genocidio di Srebrenica, una delle pagine più oscure della storia europea recente. Il loro tragico destino sarebbe stato dimenticato se non fosse stato per le Madri di Srebrenica e Žepa.

Queste madri, mogli e sorelle hanno asciugato le loro lacrime e hanno scelto di dare un senso alla loro sofferenza. Lungi dal gridare vendetta, da 24 anni chiedono semplicemente giustizia. E hanno un messaggio per noi: smettete di disumanizzare l'Altro.

Molte persone non sanno cos’è successo a Srebrenica, o non vogliono saperlo. Altri credono che si sia trattato di una questione locale, un incidente della storia senza importanza per il resto del mondo. Questo modo di pensare non mostra soltanto indifferenza o relativismo: rivela anche un sentimento anti-musulmano diffuso in Europa. È innegabile che il genocidio di Srebrenica abbia avuto motivazioni religiose. Quegli esseri umani sono stati uccisi perché erano musulmani. Il massacro è stato commesso con la complicità di una comunità internazionale passiva, che sapeva cosa stava succedendo, ma ha deciso di chiudere gli occhi.

In questo senso, il genocidio di Srebrenica è uno specchio che rimanda a tutti gli europei un'immagine di sé stessi che dovrebbero guardare attentamente. L'Europa non sta certo per vivere un'altra tragedia paragonabile a quella di Srebrenica. Tuttavia, la rinascita di movimenti nazionalisti che pretendono di essere i difensori “dei valori tradizionali di un’Europa cristiana” minaccia il futuro pacifico delle nostre società.

In questo contesto, i musulmani sono ancora una volta tra gli obiettivi preferiti dei gruppi estremisti, e anche di leader politici più moderati. Per secoli gli europei hanno guardato i musulmani con diffidenza. La sfiducia è poi cresciuta ulteriormente dalla serie di atti terroristici iniziati l'11 settembre 2001, con gli attacchi al World Trade Center di New York: da quel giorno si è fatta di tutta un’erba un fascio e i musulmani hanno incontrato sempre più ostilità nelle società in cui vivono.

Negli ultimi 20 anni, molti rapporti hanno messo in guardia contro l’aumento di sentimenti e pratiche anti-musulmane in Europa. Tuttavia, la situazione non è migliorata, sebbene queste tendenze pericolose siano evidenti. Sono state confermate di nuovo alcune settimane fa in un rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza, preoccupata per la persistenza dei sentimenti anti-musulmani nella maggior parte degli stati membri del Consiglio d'Europa.

È sufficiente consultare fonti di informazioni attendibili per trovare prove al riguardo. In molti paesi europei, le donne musulmane sono spesso attaccate perché indossano il velo; le moschee sono prese di mira e i cimiteri sono profanati; le pratiche discriminatorie rendono più difficile per i musulmani trovare lavoro o alloggio od ottenere la cittadinanza del paese in cui vivono. Le forze dell’ordine continuano a fare uso della pratica illegale di fermare e perquisire i musulmani basandosi solo sul loro aspetto. La maggior parte dei migranti che arrivano in Europa dai paesi musulmani trova la stessa diffidenza e sospetto che i musulmani europei hanno sopportato per decenni.

I musulmani non sono gli unici obiettivi. Attacchi motivati ​​dall'odio continuano a colpire ebrei e rom, che sono tra i capri espiatori privilegiati di coloro che persistono nel separare gli esseri umani in "razze", classi o gerarchie. Queste tensioni sono esacerbate da un discorso nazionalistico tossico, irresponsabile e cinico diffuso da molte importanti figure politiche in Europa.

Dove tutto ciò può portare è molto chiaro per me e per molti dei miei connazionali. La domanda è se questo sia chiaro anche per i leader politici in Europa e di là dai nostri confini.

Sono cresciuta in un paese che oggi non esiste più proprio a causa di persone che hanno alimentato le fiamme dell'odio e delle dispute etniche. Ho visto la brutalità e le devastazioni del nazionalismo, le divisioni che crea e il modo sottile in cui seduce con false promesse.

Ormai avremmo dovuto imparare dalla storia che una tale situazione porta inevitabilmente alla distruzione. Tuttavia, sembra che non abbiamo ancora imparato la lezione.

Se vogliamo invertire questa tendenza pericolosa, faremmo meglio a trarre le giuste lezioni dal genocidio di Srebrenica. Non accadde per caso. Iniziò molto prima che si manifestasse in tutto il suo orrore. Cominciò quando degli esseri umani sono stati additati a causa della loro identità. Fu modellato da un discorso pubblico che disumanizzava l'Altro ed emarginava le voci critiche. Il risultato furono atti deliberati volti a distruggere un gruppo di persone – sotto gli occhi di molti che non vollero vedere perché non si sentivano interessati da ciò che stava accadendo.

Come tutti i genocidi, il genocidio di Srebrenica ha un significato che va ben oltre i confini del territorio in cui è stato commesso. Ci avverte che se accettiamo, condoniamo o facciamo finta di non vedere attacchi diretti contro determinati gruppi di persone, le nostre società forniranno terreno fertile per far crescere i semi dell'odio.

Il messaggio delle Madri di Srebrenica e Žepa è che non dobbiamo ripetere gli stessi errori. Ci dicono che se vogliamo vivere insieme nella diversità, se vogliamo sfuggire all'indottrinamento e vivere liberi da odio e violenza, se vogliamo che le generazioni future abbiano le nostre stesse speranze e aspettative, dobbiamo reagire adesso.

Dobbiamo difendere i valori e i principi di uguaglianza, rispetto, diversità e solidarietà che sono le basi dell'Europa. È giunto il momento di prendere posizione e lavorare insieme per sostituire i semi dell'odio con quelli del rispetto.

Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d'Europa