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Fa fede il discorso pronunciato

Discorso di Terry Davis segretario generale del Consiglio d’Europa

Seminario su "La politica e la pratica del Consiglio d’Europa: che ruolo per il Consiglio d’Europa in un’Europa in cambiamento?'' - Oslo, 6 e 7 settembre 2004

Oslo, 06.09.2004

Signor Presidente del Comitato dei Ministri, Signor Ministro, Signor Presidente, Signore e Signori,

I diritti dell’uomo, la democrazia e la preminenza del diritto sono i valori che contraddistinguono l’Europa dalla maggior parte delle altre regioni del mondo. Su tali valori poggia l’azione del Consiglio d’Europa, volta a conseguire una più stretta unione tra gli stati, grazie alla tolleranza, al mutuo rispetto, al consenso e alla cooperazione.

È con il mandato di trasformare tale potenziale in un’azione concreta, che sono stato eletto segretario generale del Consiglio d’Europa; ho quindi oggi il grande piacere di essere presente tra di voi, per discutere del ruolo della nostra Organizzazione nell’Europa in cambiamento.

Tengo a dirvi che sono particolarmente lieto, e per due ragioni, che il primo paese in cui effettuo una visita, dopo aver assunto le mie funzioni mercoledì scorso, sia la Norvegia. In primo luogo, perché ho sempre avuto una grande simpatia per la Norvegia e per i suoi abitanti. In secondo luogo, perché la presidenza norvegese del Comitato dei Ministri sta svolgendo un ruolo molto attivo e costruttivo in seno al Consiglio d’Europa.

La riunione odierna è solo un esempio delle numerose iniziative intraprese dal vostro paese nel corso della sua presidenza. Mi sia consentito di cogliere questa occasione per ringraziare le autorità norvegesi per il sostegno accordato al Consiglio d’Europa e per l’assistenza che mi viene offerta dall’Ambasciatore norvegese e dai suoi collaboratori a Strasburgo, nel momento in cui mi accingo a prendere in mano le redini di un’organizzazione che protegge gli interessi di oltre 800 milioni di persone in 45 paesi, che diventeranno ben presto 46, con l’adesione del Principato di Monaco, tra poche settimane.

Signor Presidente, l’Europa sta cambiando, ed è indubbio che l’istituzione in cui viene perfettamente avvertito tale mutamento è proprio il Consiglio d’Europa, a Strasburgo. Nel corso di soli 15 anni, il numero di paesi membri è raddoppiato, passando da 23 nel 1989, a 46 alla fine del 2004.

È con rammarico che si deve tuttavia constatare che tali cambiamenti intervengono proprio nel momento in cui l’Europa si trova a dover affrontare nuove minacce, quali il terrorismo, la tratta degli esseri umani e la criminalità organizzata.
Mai come ora, nell’odierna realtà dell’interdipendenza mondiale, l’attualità politica internazionale è stata più densa. Tuttavia, perfino nella nostra Europa, nonostante i progressi compiuti sulla via della democrazia, esistono ancora numerosi cittadini, il cui numero è purtroppo in crescente aumento, che ritengono le loro differenze - siano esse religiose, politiche, etniche - più importanti dei nostri valori comuni.

Molto cammino resta da percorrere in Europa per consolidare la democrazia, i diritti dell’uomo e lo stato di diritto, affinché tutti gli Europei possano provare il sentimento di condividere realmente valori, responsabilità e futuro.
Fin dalla sua creazione, il Consiglio d’Europa è stato all’avanguardia della cooperazione europea, innovando e sviluppando idee, molte delle quali hanno contribuito a foggiare la società europea, così come la conosciamo oggi.

Mi riferisco alla cooperazione parlamentare pluralista, inesistente e impensabile prima dell’istituzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Mi riferisco ugualmente alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, presso la quale i singoli cittadini possono presentare ricorso contro il loro governo, qualora ritengano di essere stati vittime di violazioni della Convenzione dei diritti dell’uomo del 1950. Né va dimenticato il lavoro svolto in molti altri settori, quali la protezione dei dati, la bioetica o la cibercriminalità, per non citarne che alcuni.

Questa breve descrizione del contributo del Consiglio d’Europa al progetto europeo pone in luce alcuni dei pregi e dei vantaggi comparativi della nostra Organizzazione. Il Consiglio d’Europa è diventato un elemento costitutivo indispensabile dell’ordine internazionale e della struttura istituzionale europea, poiché affianca l’opera delle Nazioni Unite, dell’Unione europea e, dal 1989, quella dell’OSCE e di numerose organizzazioni regionali.

Dal 1950, il Consiglio d’Europa ha recepito a livello europeo idee e principi sviluppati dalle Nazioni Unite. È di particolare rilievo l’esempio della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, che, oltre a trasporre nel contesto europeo molti punti della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, stabilisce altresì un meccanismo appropriato per la sua applicazione.

Lo stesso vale per la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti. Vanno parimenti citate, nello stesso ambito, le Norme europee sulle prigioni, basate sulle Norme minime standard delle Nazioni Unite per il trattamento dei prigionieri, che figureranno con ogni probabilità tra le questioni dibattute domani sulla riforma degli istituti carcerari nelle società in transizione.

Inutile dire che la cooperazione con le Nazioni Unite e con le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite copre molti altri settori di attività e prende svariate altre forme.

Personalmente, seguo con molta attenzione tali attività già da un certo numero di anni, sia a Strasburgo, che presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, alla quale ho d’altronde l’intenzione di partecipare nuovamente quest’anno, per studiare come intensificare la nostra collaborazione, ponendo una maggiore enfasi sull’efficacia e l’azione.

A livello europeo, l’OSCE, che si occupa ormai di numerose questioni trattate ugualmente dal Consiglio d’Europa, è un valido partner per le nostre attività in molti paesi membri.
È essenziale che entrambe le organizzazioni adottino posizioni congiunte su questioni sensibili, al fine di evitare le tentazioni di “forum shopping”, di rivolgersi, cioè, all’organizzazione che applicherà le decisioni più favorevoli, come è altrettanto fondamentale che, in caso di interferenze, evitiamo inutili doppioni.

Per questo motivo, apprezzo particolarmente l’iniziativa della presidenza norvegese, mirante a procedere a un’analisi approfondita delle interazioni esistenti tra il Consiglio d’Europa e l’OSCE, in vista di potenziare la cooperazione tra le due organizzazioni.
Mi preme molto tale esame, poiché entrambe le organizzazioni hanno il dovere, nei confronti dei cittadini dei nostri stati membri e degli stati che partecipano alle nostre attività, di accertarsi di non sperperare i fondi a nostra disposizione, evitando le inutili riproduzioni di attività.

Tengo a seguire da vicino questa questione, in quanto, avendo ugualmente svolto per sette anni delle funzioni nella sfera dell’OSCE, ho una certa conoscenza dei punti di forza e debolezza di entrambe le istituzioni.

Spetterà peraltro ovviamente agli stati membri del Consiglio d’Europa e a quelli partecipanti alle attività dell’OSCE decidere su chi dovrà svolgere questa o quella attività. In tale contesto, mi compiaccio della proposta di coinvolgere maggiormente gli stati nell’ambito delle nostre relazioni inter-istituzionali, sia presso il Consiglio permanente dell’OSCE a Vienna, che presso il Comitato dei Ministri a Strasburgo.

L’Unione europea è evidentemente un altro dei partner principali del Consiglio d’Europa, e continuerà a esserlo, dopo il suo allargamento e dopo che sarà dotata della propria Costituzione.

Il Consiglio d’Europa e l’Unione europea condividono gli stessi valori, e, in ampia misura, gli stessi obiettivi. Pur operando in modi molto diversi, possono cooperare, come del resto già lo fanno, nell’ambito delle loro rispettive sfere di eccellenza; l’Unione europea, per esempio, partecipa con un contributo finanziario di oltre 7 milioni di euro a programmi congiunti di cooperazione nell’Europa del Sud-Est.

Dopo l’allargamento dell’Unione europea, il ruolo svolto oggi dal Consiglio d’Europa, in quanto unica organizzazione paneuropea veramente europea, ha assunto un’importanza ancora più spiccata nel nuovo scenario europeo. Contribuisce a edificare un’Europa “senza linee divisorie”, impegno proclamato dal Comitato dei Ministri nella sua Dichiarazione solenne in occasione del 50° anniversario dell’Organizzazione nel 1999, impegno al quale tengono particolarmente coloro che per numerosi decenni furono separati dalla cortina di ferro. Esiste invero un’unica Europa, costituita da oltre 800 milioni di donne e di uomini, che aspirano tutti a un mondo migliore e più giusto per se stessi e per i loro figli.

Il Consiglio d’Europa e l’Unione europea stanno operando per l’armonizzazione del diritto e per una cooperazione giuridica, al fine di istituire uno spazio giuridico comune, pur riconoscendo che esistono numerosi problemi che non potranno essere risolti unicamente a livello dell’Unione europea.

Il traffico di stupefacenti e la criminalità organizzata non hanno frontiere. Il riciclaggio del denaro e la corruzione hanno ramificazioni che si estendono su tutto il nostro continente, e ben oltre. Tali questioni devono essere affrontate congiuntamente, se vogliamo risolverle. E lo stesso vale per il terrorismo e la tratta di esseri umani.

Il Consiglio d’Europa ha sviluppato degli strumenti e degli accordi in tutti questi settori. È ora essenziale predisporre dei sistemi adeguati per permettere al Consiglio d’Europa e all’Unione europea di cooperare pienamente e di unire i loro sforzi nella lotta contro queste gravissime violazioni dei diritti dell’uomo.

Gli eventi cui abbiamo recentemente assistito, sia in Turchia, che in Spagna o in Russia, ci hanno certamente convinti che il terrorismo è destinato purtroppo a perdurare, e che non potrà essere sconfitto dai governi nazionali, se agiscono da soli, e nemmeno da un’istituzione limitata a 25 paesi dell’Europa occidentale e centrale. Occorre prendere l’iniziativa a livello paneuropeo.
Oggi, mentre siamo tutti sconvolti dall’orrore di Beslan, posso affermare che nel corso dei 3 anni successivi alla tragedia dell’11 settembre, il Consiglio d’Europa ha rappresentato un foro di discussione tra esperti dei nostri paesi membri, alla ricerca delle soluzioni da adottare per tutelare il diritto umano più fondamentale, il diritto alla vita, rispettando nel contempo quei valori che il Consiglio d’Europa ha per missione di difendere e di promuovere.

È mio preciso impegno, e d’altronde mia diretta responsabilità affrontare con la massima urgenza questa sfida.
Sono queste le questioni che costituiranno il telaio del Vertice dei capi di stato e di governo del Consiglio d’Europa, che verrà ospitato dalla Polonia a Varsavia, il 16 e 17 maggio 2005, durante la presidenza polacca del Comitato dei Ministri.

Il Vertice intende fissare le priorità per il Consiglio d’Europa e rafforzarne la posizione di partner essenziale nella nuova architettura europea del 21° secolo.

È previsto che nel corso del Vertice venga adottata una nuova dichiarazione politica in merito al piano d’azione del Consiglio d’Europa, che ne rifletta l’obiettivo statutario di attuare un’unione più stretta tra i suoi stati membri, in base all’impegno fondamentale comune a favore della democrazia, dei diritti dell’uomo e del primato del diritto, nonché della coesione sociale, dell’educazione e della cultura, quali fattori indispensabili per consentirne lo sviluppo.

Plaudo a questa opportunità, poiché è chiara la necessità di precisare il ruolo futuro che gli stati membri desiderano affidare al Consiglio d’Europa. Mi sono impegnato a lavorare con i governi per negoziare un accordo preciso sul ruolo e le responsabilità della nostra Organizzazione. Dopo aver conseguito questo obiettivo, sarà nostro compito adottare un insieme di norme fondamentali che tutti gli stati membri dovranno impegnarsi a osservare, e tengo a sottolineare che questo è un principio essenziale per ben cogliere la differenza tra l’OSCE e il Consiglio d’Europa.

In breve, si può affermare che il criterio seguito per l’adesione all’OSCE è di carattere geografico. Invece, per diventare membro del Consiglio d’Europa, non basta la posizione sulla carta geografica. Occorre altresì accettare i nostri valori, che sono i diritti dell’uomo, la democrazia e la preminenza del diritto, il che significa l’indipendenza dei giudici, la libertà di espressione, la libertà dei media, la protezione delle minoranze nazionali e il rispetto dei principi del diritto internazionale.

Il Consiglio d’Europa si distingue poi dalle altre organizzazioni per la natura giuridicamente vincolante degli obblighi assunti dagli stati membri e per il modello di cooperazione collegiale seguito per garantire il rispetto di tali obblighi.
A tal scopo, sono stati istituiti dei meccanismi specifici di monitoraggio giuridico e politico. Qualora uno stato membro dovesse trovarsi a fronteggiare problemi particolari, potrà contare sull’assistenza dell’Organizzazione, e in particolare sui suoi programmi per il rafforzamento della stabilità democratica. Se uno stato membro dovesse però persistere e continuare a violare i valori fondamentali dell’Organizzazione, lo Statuto prevede, in ultima istanza, l’esclusione del paese in questione.

Avvenne soltanto una volta, e spero che non si verificherà mai più per nessuno degli stati membri. Come alternativa all’esclusione di uno stato, esiste, evidentemente, la possibilità di utilizzare la forza di persuasione. Può rivelarsi più lungo, ma sono convinto che molto si possa ottenere dimostrando un poco di perseveranza.

È in tal modo che il Consiglio d’Europa, in base al proprio statuto e alla missione politica che gli è stata conferita nella storia europea del dopoguerra, contribuisce pienamente, con le proprie attività, alla pace e alla stabilità.

È diventato così una componente imprescindibile dello scenario europeo, continuando a perseguire il proprio obiettivo statutario, quello, cioè, di realizzare un’unione più stretta tra i suoi membri, per tutelare e promuovere gli ideali e i principi che sono il loro comune patrimonio, e che costituiscono invero i principali ingredienti per un’Europa sicura e stabile.