Retour Intervento della Vice Segretaria Generale a Venezia in occasione dell’incontro con gli esperti della Commissione parlamentare di studio sull’intolleranza, il razzismo e i fenomeni d’odio

Venezia , 

Il discorso dell’odio nei paesi membri del Consiglio d’Europa: problemi comuni e possibili soluzioni

 

Nel darvi il benvenuto vorrei ribadire l’interesse e plauso del Consiglio d’Europa per l’istituzione della Commissione Parlamentare Jo Cox. Siamo grati per la possibilità, offertaci sin dalla prima riunione della Commissione nel maggio dell’anno scorso, di partecipare e contribuire al vostro lavoro di studio sull’intolleranza, il razzismo e i fenomeni d’odio.

Non c’è dubbio che tra tutti i fenomeni d’odio il discorso dell’odio sia una delle manifestazioni più preoccupanti e costituisca un grave pericolo per la democrazia la protezione dei diritti umani e la coesione sociale. 

Sono certa che il vostro rapporto sarà ricco di analisi e suggerimenti per un’azione delle autorità italiane in tal senso e mi auguro che questo incontro a Venezia (eventuale ringraziamento agli organizzatori - ufficio CoE Venezia e segreteria delegazione parlamentare italiana al CoE) possa fornirvi elementi utili a collocare in una dimensione europea la vostra analisi dei fenomeni dell’odio in Italia.

Naturalmente siamo disponibili, come già fatto in passato, a fornire ogni possibile informazione pertinente alle varie macro aree del vostro futuro rapporto e, se lo riterrete opportuno, a partecipare ad altre riunioni di lavoro della Commissione.

L’azione del Consiglio d’Europa: brevi cenni

A questo punto vorrei introdurre brevemente alcuni elementi che poi potranno essere ripresi e ampliati durante il dibattito più tardi.

Negli ultimi trenta anni Il Consiglio d’Europa si è occupato del fenomeno dell’odio razziale a più riprese. Oltre alla nota giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, soprattutto per quanto riguarda l’abuso e i limiti della libertà di espressione, vorrei ricordare anche le varie raccomandazioni del Comitato dei Ministri, prima fra tutte la raccomandazione n. 20 del 97 che contiene già una definizione del termine “hate speech”. Naturalmente anche l’Assemblea Parlamentare si è interessata a questo fenomeno che ha condannato senza mezzi termini. Per esempio nella raccomandazione del 2001 sul razzismo e la xenofobia nel “cyberspace”, si legge che l’Assemblea Parlamentare “considera il razzismo non un’opinione ma un crimine”.

Altri organi del Consiglio hanno dedicato un’attenzione particolare a questo problema, come la Commissione di Venezia e il Commissario per i diritti umani.

Non da ultimo, vorrei ricordare la campagna “No Hate Speech Movement” che il Consiglio d’Europa sta coordinando dal 2013 per combattere il discorso dell’odio e il bullismo on-line. Questa campagna ha lo scopo di combattere il razzismo e la discriminazione on-line, come le espressioni di odio, mobilitando i giovani e si appoggia su un vasto numero di organizzazioni giovanili a livello nazionale per agire contro tali fenomeni. Il dipartimento per le politiche giovanili del Consiglio d’Europa ha nominato la ONG APICE recentemente come coordinatrice nazionale del gruppo di supporto della compagnia, che conta ora un network di 30 organizzazioni, una pagina facebook ed ha in progetto una serie di attività di formazione all’uso responsabile del web. 

Non dubito che tutto questo sia già a conoscenza della Commissione, come pure sono certamente conosciute le attività della “No-Hate Parliamentary Alliance” dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa coordinate dall’Onorevole Santerini. Potremo se necessario ritornare più in dettaglio sulle attività del Consiglio per contrastare “il discorso dell’odio” durante il dibattito. Vorrei però, se me lo consentite, concentrarmi per il momento sui problemi comuni che sono stati riscontrati nei vari paesi Europei e accennare brevemente a possibili soluzioni.

Come già sapete la Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI), organo di monitoraggio del Consiglio d’Europa, ha pubblicato lo scorso marzo una Raccomandazione di politica generale sulla lotta al discorso dell’odio. Il documento propone una serie di misure che le autorità nazionali dovrebbero adottare (o se già adottate mettere in pratica) affinché questa lotta sia efficace e allo stesso tempo conforme agli standard europei.

Stefano Valenti, ritornerà su questa raccomandazione a breve cosi come sul rapporto dell’ECRI sull’Italia.

Quello che mi preme dire è che questa Raccomandazione si basa sul lavoro di monitoraggio del fenomeno del discorso dell’odio nei 47 paesi membri del Consiglio d’Europa. Insomma una cartina al tornasole che ha rilevato l’esistenza di una realtà sfaccettata e di diversa intensità in Europa, ma che comunque presenta una serie di problemi comuni.

Problemi comuni e qualche soluzione

La mancanza (o la scarsitá) di dati certi, omogenei e pubblici sul fenomeno del discorso dell’odio è una grave lacuna. Nel migliore dei casi i dati, se esistono, si limitano alla giustizia penale.

Questa mancanza o insufficienza di dati rende difficile stimare la reale dimensione del fenomeno (soprattutto nel campo del cosiddetto cyberhate) e preparare strategie e risposte politiche adeguate.

In certi paesi poi le restrizioni alla libertà d’espressione riguardanti il discorso dell’odio sono distolte dal loro fine originale e utilizzate per ridurre al silenzio le minoranze o reprimere l’opposizione politica e le critiche contro le politiche ufficiali. Il Consiglio d’Europa ha raccomandato a più riprese che la libertà di espressione e di opinione sia rispettata e che le sue restrizioni siano limitate allo stretto necessario in una società democratica, e che siano giustificate e proporzionate.

Si è inoltre rilevata l’esistenza diffusa del discorso dell’odio contro le donne per motivi fondati sul sesso, il genere e/o l’identità di genere, o associati a una o più altre caratteristiche distinte.

Questo è un problema particolarmente grave che porta spesso le donne ad essere le prime vittime della cosiddetta discriminazione multipla (una discriminazione non sempre riferibile a un’unica dimensione come in questo caso il genere ma che comprende più fattori discriminatori allo stesso tempo, come il colore della pelle, lo statuto sociale, la convinzione religiosa, l’orientamento sessuale o la disabilità) con un accumulo di effetti negativi che  rendono le donne estremamente vulnerabili, a volte anche alla violenza.

A questo proposito vorrei ricordare che l’Italia è tra gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne. Questa Convenzione richiede come misura di prevenzione della violenza l’attuazione di programmi di educazione e sensibilizzazione nelle scuole sulla parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati e il reciproco rispetto.

Un altro fenomeno osservato è la mancanza di conoscenza da parte delle vittime del loro diritto a ottenere riparazione attraverso procedimenti amministrativi, civili o penali. Questa mancanza di conoscenza, talvolta associata a ostacoli fisici ed emotivi, come la paura, o la mancanza di mezzi finanziari per adire le vie legali, impediscono a queste persone di esercitare i loro diritti. Tale situazione rende difficile l’emergere del problema nella sua dimensione reale attraverso le segnalazioni alle autorità competenti di casi di discorso dell’odio.

Quanto appena detto riguarda soprattutto il discorso dell’odio via internet. é chiaro che il cosidetto cyberhate è favorito grandemente dall’ignoranza delle sue conseguenze e dall’insufficiente alfabetizzazione informatica per un uso responsabile del web soprattutto tra i giovani. Bisognerebbe dedicare un capitolo a parte ai mezzi suggeriti per arginare tale fenomeno, alla loro efficacia e al loro rispetto della libertà d’espressione.

A proposito di mezzi giuridici, mi preme ricordare il Protocollo della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla cibercriminalità che espande la portata di tale Convenzione per includere ugualmente i reati legati alla propaganda a sfondo razzista o xenofobo via internet. In tal modo, oltre a armonizzare gli elementi giuridici reali di tali atti, il Protocollo intende fornire alle Parti la possibilità di utilizzare i mezzi e le vie della cooperazione internazionale stabiliti nella Convenzione in questo campo.

L’Italia non ha ancora ratificato il Protocollo nonostante l’abbia firmato nel 2011. Il disegno di legge di ratifica del Protocollo, già approvato dal Senato e poi modificato dalla Camera dei Deputati, è ora al riesame del Senato. L’ECRI nel suo ultimo rapporto sull’Italia ha raccomandato l’accelerazione del processo di ratifica del protocollo.

L’ECRI ha raccolto anche alcuni esempi di buone practiche (oltre che di problemi) nella lotta al cyberhate. Per esempio in Austria, i fornitori di servizi internet possono essere perseguiti per il contenuto ospitato sui loro server attraverso l'uso della legislazione penale contro atti razzisti o neo-nazisti. In Francia la piattaforma PHAROS per denunciare il discorso dell’odio su internet ha dato buoni frutti ed è stata utilizzata da numerosi giovani fruitori di internet. Le autoritá di Germania e Polonia hanno ottenuto importanti successi in un’area assai difficile quale la chiusura di siti internet ospitati da fornitori di servizi Internet negli Stati Uniti.

Soprattutto da parte dell’Unione Europea si preme per l’adozione di codici di condotta di aziende come Facebook e Twitter. Il Problema però riguarda il monitoraggio della loro applicazione, che a volte rimane insoddisfacente.

Ci si chiede, dunque, se sia opportuno delegare il controllo del web all’industria privata o non sia il caso di rafforzare e uniformare al tempo stesso le legislazioni nazionali per facilitarne la loro applicazione e efficacia.

Al di là delle questioni giuridiche, l’importanza dell’educazione per far crollare i pregiudizi e la disinformazione su cui è basata la retorica dell’odio in iternet rimane primordiale. Soprattutto in questa area, il contrasto de l’“hate speech” è tanto più efficace se controbattuto attraverso il “counter speech”: un discorso che non si limiti solo a condannare il discorso dell’odio, ma ne dimostri chiaramente l’infondatezza dei suoi argomenti e la pericolosità delle sue conseguenze.

Come sapete, anche il Presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno ha detto a chiare lettere che “internet è stata, e continua a essere, una grande rivoluzione democratica, che va preservata e difesa da chi vorrebbe trasformarla in un ring permanente, dove verità e falsificazione finiscono per confondersi”. Abbiamo quindi bisogno di figure esemplari nel mondo della politica, dell’arte, dello spettacolo e dello sport che siano promotori di tolleranza, rispetto e corretta informazione, e non, di odio, disprezzo e, nella migliore delle ipotesi, di “bufale”.

Mi fermo qui nell’elenco dei problemi e di qualche soluzione che potremo poi approfondire e ampliare durante il dibattito. Mi preme comunque sottolineare che anche se alcuni problemi sono comuni a diversi paesi europei, non è detto che le soluzioni debbano essere sempre le stesse. È anche per questo che il Consiglio d’Europa guarderà sicuramente con grande interesse alle soluzioni che voi proporrete per quanto riguarda l’Italia.

Vorrei terminare ricordando che la lotta al discorso dell’odio oltre che per il rispetto dei diritti umani, è dovuta anche per l’eredità storica dell’Europa, un eredità che impone un dovere di memoria (never again). Essa richiede la massima vigilanza, resistenza e condanna di fronte a fenomeni di razzismo, discriminazione e intolleranza in tutte le sue forme e in tutte le sue fobie.